(La versione originale di questo articolo è in inglese – leggere qui).
Questo articolo è il secondo di una discussione in due parti sull’intelligenza artificiale (IA), il food system, e Green Tech. Forse avete già letto la prima parte, scritta dall’IA stessa (ChatGPT in particolare). In caso contrario, vi invitiamo a riprenderla: non possiamo competere con la sua presentazione chiara, riassuntiva e concisa di alcuni pro e contro dell’applicazione dell’IA ai settori e agli obbiettivi ambientali, in particolare all’agricoltura e, in modo già ampio, al sistema alimentare tutto.
Quello che possiamo fare è riflettere sulla sua equilibratissima esposizione dell’argomento, ma con una dose molto umana di entusiasmo, scetticismo e, a volte, di vera e propria gelosia (è evidente che tantissimi copywriter stanno tremando per l’impatto dell’IA sulle loro carriere e, più immediatamente, sui loro salari. E siamo anche ahimè coscienti di quanto sia più lento scrivere questo articolo senza il supporto dell’intelligenza artificiale). Comunque, eccolo qui:
A Marzo, dal momento della pubblicazione del Open Letter firmata da 100 leader del settore tecnologico, in cui si chiedeva di sospendere i giganteschi esperimenti di IA, sono stati lanciati sempre più campanelli d’allarme. Di recente, Geoffrey Hinton, pioniere e cosiddetto ‘padrino dell’IA’, ha lasciato la sua posizione da Google per avvertire dei pericoli della tecnologia per l’umanità. La stessa umanità che sta affrontando una sfida altrettanto grande (se non più grave): la crisi climatica. Ogni singola industria sarà colpita in modo drammatico e destabilizzante, soprattutto quelle radicate negli ecosistemi, e legati alla natura. L’agricoltura e il modo in cui produciamo cibo per una popolazione globale in crescita sono tra i primissimi punti focali. Non possiamo/dobbiamo quindi utilizzare ogni strumento del nostro arsenale per mitigare e adattarci a un clima minacciato e in rapido cambiamento?
ChatGPT ha illustrato le virtù delle sue applicazioni ai sistemi agricoli, in particolare la sua capacità di aumentare l’efficienza e ridurre lo spreco di risorse. È un tema di informazioni: raccogliendo e analizzando i dati meteorologici, del suolo, dell’acqua, della temperatura, questo strumento può assistere nei momenti in cui si pianta, dosando per ogni coltura fertilizzanti, acqua e persino sole o ombra nei momenti più opportuni: piante migliori, più sane, che crescono più velocemente e con meno sprechi.
Un esempio è l’irrigazione automatizzata: i sensori con l’IA analizzano quando le colture hanno bisogno di acqua (attraverso l’umidità, il pH, l’idratazione del suolo e la temperatura) e possono di conseguenza irrigarle in modo più preciso. Dato che l’85% dell’acqua dolce globale è utilizzata (e spesso sprecata) dal settore agricolo, questo potrebbe fare un’enorme differenza nella sua gestione. Inoltre, un progetto di Google che applica algoritmi di apprendimento automatico (‘machine learning’) all’energia eolica ha permesso al personale di soddisfare meglio gli impegni e di migliorare la stabilità della rete, prevedendo la produzione di energia con 36 ore di anticipo. Ci sono infiniti esempi dello stesso principio applicato alla salute delle colture, al controllo delle erbe infestanti e dei parassiti, al raccolto e al dosaggio dei fertilizzanti.
Tuttavia, c’è una questione che ci preoccupa. I modelli di intelligenza artificiale analizzano i pattern meteorologici, per prevedere e capire cosa serve all’agricoltura e quando. Ma i modelli meteorologici stanno diventando sempre più (e spesso paurosamente) imprevedibili. A seconda dei dati storici, dell’arco temporale e degli impatti specifici e localizzati dei cambiamenti climatici e degli eventi meteorologici estremi che vengono ‘immessi’ nell’IA come dati istruttivi, le previsioni fatte potrebbero essere meno accurate di quanto dichiarato. Quest’anno, il Sud Italia è stato inondato da piogge continue e inaspettate per tutto il mese di aprile e maggio, rendendo gran parte del paesaggio più sano e più verde di quanto siamo abituati a vedere. Se le colture fossero state irrigate sulla base di modelli basati su anni precedenti e secchi, non possiamo fare a meno di chiederci se l’analisi dell’IA sarebbe stata un aiuto, piuttosto che un intralcio.
La raccolta e l’utilizzo dei dati agricoli sono ovviamente e profondamente utili. È l’applicazione automatizzata di tecniche e risorse basate sull’analisi stesso dell’IA che, a nostro avviso, rappresenta un rischio da gestire con cautela.
Un altro vantaggio dichiarato dell’IA è, a tutti gli effetti, l’automazione delle operazioni del sistema alimentare e dell’agricoltura. Dal monitoraggio della sicurezza alimentare e la prevenzione delle malattie all’aumento della qualità del food (anche se la “qualità” è un parametro soggettivo e spesso troppo rigido nel settore), dai trattori a guida autonoma ai robot che cercano le perdite d’acqua, fino alla semina degli alberi che è 7 volte più veloce di un essere umano.
Un esempio esplicativo è il rilevamento automatico e l’irrorazione di precisione delle erbacce di Blue River. Utilizzando l’intelligenza artificiale per individuare e colpire le erbacce indesiderate, gli agricoltori possono ridurre la quantità di prodotti chimici e pesticidi utilizzati sui loro terreni. Per essere chiari, le nostre opinioni personali sono fortemente contrarie all’uso di pesticidi o diserbanti artificiali e chimici. Ma riconoscendo che l’industria alimentare mondiale continua e probabilmente continuerà a usare questi prodotti chimici, se l’IA può favorirne la riduzione dell’uso e, a sua volta, migliorare la salute del suolo, ci sembra un risultato incredibile.
Ma ancora una volta, parliamo di come la tecnologia viene istruita. Molti viticoltori naturali (che abbiamo avuto la fortuna di conoscere) considerano le piante selvatiche e le erbacce come un elemento che alimenta la biodiversità locale e sostiene la crescita delle piante. Tuttavia, molte aziende agricole industriali probabilmente considerano la crescita delle erbacce, o di piante alternative, come un “succhia risorse”. Bisogna anche riconoscere che l’agricoltura industriale prevalentemente privilegia la resa: la quantità rispetto alla qualità. Se i modelli automatizzati dell’IA sono portati a sfruttare i terreni, i suoli e le colture al massimo delle loro capacità, non possiamo sorprenderci delle conseguenze negative sulla salute del suolo, sulla fertilità a lungo termine e, soprattutto, sulla biodiversità.
Persino l’automazione stessa dei lavori agricoli potrebbe, in situazioni molto specifiche, essere messa in discussione. Naturalmente, come popolazione globale (e in particolare di un paese ricco), dobbiamo fare i conti con la realtà della carenza di manodopera nella produzione agricola e nel sistema alimentare in generale. Il supporto meccanizzato e automatizzato sarà essenziale per colmare le lacune. Ma noi vogliamo sostenere la presenza umana, il tatto, la sensibilità e la conoscenza di chi lavora nell’agricoltura.
Un esempio: in viticoltura è largamente riconosciuto che la raccolta manuale dell’uva sia la soluzione migliore: per il frutto stesso, per la salute delle viti e, in ultima analisi, per il vino. Ma la raccolta manuale è laboriosa e (senza il caporalato) costosa. I pomodori sono spesso raccolti, o perlomeno trasportati con trattori metallici. Un problema di nicchia, ma anche reale, è che in estate le grandi piastre e pale metalliche di questi trattori raggiungono temperature roventi che ustionano i pomodori una volta colti. Questo riduce la loro qualità nutrizionale.
Le comunità indigene di tutto il mondo hanno rumorosamente fatto valere la necessità di applicare il knowledge umano all’agricoltura e alla natura. Crediamo che questo knowledge debba essere conservata. La conoscenza e la presenza umana in agricoltura devono essere sostenuti dall’IA, anziché essere considerati incompatibili o in conflitto con il suo algoritmo. Un’altra “bandiera rossa” su cui vigilare.
Girando il nostro sguardo ai rischi dichiarati autonomamente da ChatGPT, il primo che notiamo è il “divario digitale”. È improbabile che le realtà più piccole e meno ricche abbiano un accesso semplice all’intelligenza artificiale e alle tecnologie green disponibili per le grandi aziende, ampliando ulteriormente la disuguaglianza nel campo della produzione alimentare. Un problema, quindi, su scala globale, tra paesi più e meno sviluppati. Il divario digitale, come molte questioni ambientali, dovrebbe essere affrontato utilizzando sussidi e fondi pubblici che sostengano miglioramenti e soluzioni sostenibili su piccola scala, gestite a livello locale, incoraggiando tecnologie sicure ad accesso libero.
Un elemento che invece ChatGPT ha trascurato di menzionare: l’IA, come raramente discusso, ha la sua propria impronta ambientale. Come evidenziato nel paper scientifico di Nordgren 2023 (e in tanti altri), l’istruzione di singoli modelli di IA può lasciare enormi impronte di carbonio. Si prevede infatti che le emissioni del settore ICT raggiungeranno il 14% delle emissioni globali entro il 2040. “L’IA… richiede grandi quantità di energia e, al momento e nel prossimo futuro, questa energia proviene in larga misura da combustibili fossili”.
L’IA verde sembra quindi rincorrere la propria coda: mentre l’IA dovrebbe essere applicata a tutti i settori per favorire una riduzione delle emissioni, lo sviluppo della tecnologia stessa è altamente inquinante. A onor del vero, non si tratta di un problema esclusivo dell’IA, ma di un problema che tutti i settori devono affrontare: la decarbonizzazione. Ad oggi, il settore ICT è in qualche modo sottoregolamentato quando si tratta di impegni net-zero, se paragonato al settore del petrolio e del gas o, ad esempio, alle aziende automobilistiche. Possiamo solo sperare che l’industria dell’intelligenza artificiale, in piena espansione, sarà altrettanto sollecitata a ridurre la propria impronta sull’ambiente.
L’ultimo punto su cui riflettere è quello della malizia. Le preoccupazioni descritte finora hanno in gran parte discusso l’errore umano, l’errore tecnologico o, nel peggiore dei casi, l’avidità umana (cioè i modelli industriali capitalistici di sovrapproduzione). Ma ‘l’autoconsapevolezza’ di ChatGPT non si è estesa fino ad ammettere i problemi di cybersicurezza e i pericoli di attacchi esterni alle tecnologie IA applicate ai sistemi agricoli e alimentari. Sebbene questa proposta possa sembrare molto hollywoodiana, l’hacking è una difficoltà reale e molto presente in tutti i settori tecnologici. Da anni aziende e governi sollecitano l’adozione di una legislazione internazionale che contrasti la guerra informatica, una “Convenzione di Ginevra digitale”. Perché i rischi che ne derivano sono molto gravi.
Immaginate l’impatto sulla produzione alimentare o sulle coltivazioni. Istruzioni malevole o manipolazioni della gestione delle risorse potrebbero creare disastri inimmaginabili per il settore. I rischi sono ulteriormente amplificati se l’IA green viene applicata alle risorse pubbliche (piuttosto che private). Ogni opportunità di interferenza diventa un modo diretto e strategico per influenzare la capacità di un paese di nutrirsi, idratarsi e prendersi cura del proprio ambiente.
Le tesi di ChatGPT ritraggono l’IA come un’innocente ingenua, mentre in realtà è corruttibile. Se molti produttori di IA (e quindi le persone che ne traggono profitto) implorano una regolamentazione, dobbiamo riconoscere i pericoli reali di un abuso della sua tecnologia.
Non siamo contrari all’IA. Anzi, crediamo che tutta l’IA debba essere IA green. Tutte le nuove tecnologie devono essere al servizio dell’obiettivo globale comune di decelerare, adattarsi e invertire il cambiamento climatico, ripristinare la biodiversità, ridurre gli sprechi e migliorare i sistemi e le strutture per consentire alla popolazione umana di vivere in armonia con l’ambiente. L’intelligenza artificiale deve essere utilizzata per migliorare l’ambiente, l’agricoltura e il nostro sistema alimentare. Ma deve essere usata con estrema cautela, istruita meticolosamente e monitorata. L’IA green dovrebbe sostenere, non sopraffare o minare, gli sforzi umani per trovare modi migliori, più sostenibili e meno impattanti per nutrire 8 miliardi di persone. I rischi di un uso improprio, come di un mancato uso, sono troppo grandi.